Su Psicoanalisi personale e Supervisione

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1) La psicoanalisi come metodo. Ascolto analitico e psicoanalisi come pratica


La psicoanalisi come metodo, può essere definita  innanzi tutto un particolare tipo di ascolto.
L'analisi si svolge attraverso un incontro fra un analista e una persona, un cliente, o analizzante, che chiede di essere ascoltata.
Esistono  nella società contemporanea diverse forme di ascolto asimmetrico, in cui una persona si rivolge ad un altra con l'intento di ricevere un ascolto specifico. Si tratta di situazioni abbastanza tipiche,  in cui uno dei due (chi prende l'iniziativa di rivolgersi all'altro) chiede di essere ascoltato, e l'altro si mette nella posizione di ascoltare, occupando varie posizioni che sono socialmente classificabili a vari livelli.

Esiste l'ascolto del sacerdote, l'ascolto del medico, l'ascolto dello psicoterapeuta, l'ascolto dello "sportellista", presente oggi in varie realtà, che possono andare dallo sportello fiscale a quello per la procreazione responsabile, dallo sportello di un negozio di telefonia, che ci aiuta a scegliere il piano tariffario e l'offerta migliore per le nostre esigenze,  a quello per gli immigrati, i gay,   i rifugiati politici, i padri separati, le donne maltrattate,  ecc..

In ognuno di questi "incontri", che sono diversissimi gli uni dagli altri, possiamo individuare alcune strutture di fondo che li rendono confrontabili. Si tratta di incontri "asimmetrici", in cui uno dei due soggetti chiede di essere ascoltato mentre l'altro soggetto è tenuto ad ascoltare -  gratuitamente a volte - anche se  spesso dietro a questo tipo di ascolto c'è un progetto che riguarda   anche un investimento economico (di associazioni o di Enti, o dello Stato stesso, nel caso dell'ascolto medico sanitario) . Non sempre l'ascolto viene erogato dietro un pagamento diretto, ma ogni operatore di sportello, ogni medico, ogni psicoterapeuta, ogni sacerdote, fa capo ad una istituzione che da valore a quel tipo di ascolto, che è un valore elevato, in senso etico spesso, e che, seppure a volte in modo indiretto e mediato, muove comunque anche interessi di tipo materiale.

In tutte queste situazioni, dunque, esiste una asimmetria: c'è un soggetto che domanda ascolto, e un soggetto che offre il proprio orecchio;  dietro a questa asimmetria c'è per lo più uno scambio economico (diretto o indiretto) a fronte di una supposizione di sapere.

Cosa significa?
Significa che il soggetto che chiede ascolto si rivolge al medico, allo psicoterapeuta, all'operatore di sportello, ecc., perché suppone che la persona che eroga l'ascolto abbia un sapere, e possa applicare quel suo sapere al malessere, alla domanda di cui il soggetto è portatore, per aiutarlo a risolverlo.

In ognuna di queste situazioni, tuttavia, lo scambio fra chi ascolta e chi è ascoltato non si riduce a questa circolazione di saperi.
L'ascolto, non è solo e soltanto un  bene economico, una merce, riducibile a questo scambio basato sull’applicazione di un sapere ad una domanda, e pertanto l’ascolto è un bene che  non è mai scambiabile integralmente.
In questo assioma risiede dunque il primo elemento fondamentale che distingue la domanda analitica, e dunque l'ascolto analitico, dalle altre forme di ascolto.

Mentre tutti gli altri saperi tendono a ridurre la differenza, lo iato, fra l'ascolto indifferenziato, la ricerca di senso, e la possibilità di rispondere a domande specifiche, orientando il soggetto verso gli interlocutori adeguati, l'ascolto analitico si forma seguendo la logica opposta,  rovesciata.
La domanda analitica si radica e si struttura man mano che il soggetto comprende e accetta di non avere una domanda specifica, accetta precisamente di offrire il proprio racconto ad un ascolto che permetta al discorso di dipanarsi, di svolgersi, e con ciò stesso di organizzarsi a partire da vertici e attrattori differenti.
La funzione che permette  al racconto di riorganizzarsi, è per l'appunto la funzione propria dell'ascolto analitico.

Da questo discende che ognuno degli ascolti precedentemente descritti, può fare da preliminare all'incontro analitico propriamente detto. Un medico che sia anche psicoanalista, uno psicoterapeuta che sia anche psicoanalista, un operatore di comunità che sia anche psicoanalista, ecc.;  ognuno di questi soggetti, nel momento in cui è formato al particolare tipo di ascolto che è proprio dell'analista, può operare la trasformazione di una domanda in domanda analitica.  La domanda inizialmente può essere una domanda mista da parte del soggetto che magari si rivolge al medico di base, o all'operatore, per problematiche specifiche e concrete, e può essere trasformata in  una domanda d'analisi.
La domanda d’analisi dunque è  effetto di una trasformazione.

Questa trasformazione non va da sé e non è affatto detto che sia possibile operarla. Tutte le domande contengono sempre un "surplus" che è la dimensione inconscia, propria del soggetto parlante, e cioè una dimensione che è richiesta di senso, una interrogazione del posto che si occupa rispetto all'interlocutore, e in generale, nel suo parlare rivolgendosi ad un altro, il soggetto indica  il punto in cui  è nella sua vita, in rapporto al proprio desiderio.
Tuttavia questo non significa che questo "surplus", questo plusvalore - che pure è sempre presente-  sia in gioco per il soggetto che domanda, ovvero non è detto  che egli voglia o possa farsene carico.
L'etica professionale e l'esperienza del medico-analista, dello psicoterapeuta-analista, dell'operatore-analista, ecc., dovranno sempre illuminare l'agire professionale, e rendere conto del percorso avviato, sia che la domanda d'analisi si sia prodotta, sia che possa prodursi eventualmente in futuro, sia che invece  possa non  prodursi.

L'analista-operatore, a vario titolo presente dunque nel sociale, gioca una partita molto importante con l'etica, che si esplica in una presenza attenta nella società in cui vive e lavora, a vario titolo, nei diversi e molteplici  luoghi in cui egli offre la sua pratica.
Le pratiche professionali a partire dalle quali oggi, a vario titolo, è possibile intercettare il malessere e la domanda dei soggetti, sono luoghi in cui si esplica uno dei compiti della psicoanalisi, quello politico: non esiste infatti prevenzione in senso stretto, per la psicoanalisi, dal momento che  nell'inconscio non esiste la negazione, e dunque non è possibile una prevenzione al malessere intesa come generalmente la si intende, fosse anche la prevenzione al  semplice malessere legato alla salute e alla qualità della vita. Non drogarsi, non mangiare troppo, non fumare, non correre in auto, sono tutti imperativi che contengono inevitabilmente il loro rovescio, e cioè l'imperativo a trasgredire. Ogni buon pubblicitario sa che i messaggi di divieto o le campagne antidroga, contengono nel loro "rovescio" imperativi al consumo e alla trasgressione i cui effetti paradossali  sono difficili da calcolare.
Tuttavia la psicoanalisi come ascolto particolare, che affianchi all'ascolto professionale la capacità di intercettare questa particolare domanda"intransitiva", questa domanda di senso, che viene dall'inconscio, permette di mettere in campo un particolare tipo di prevenzione che è precisamente il non sottrarsi all'impegno politico, alla dimensione della pratica politica, intesa come presenza nella società civile. La politica, l'arte di governare, l'arte di stare nel legame associativo e civile, è una delle forme in cui si esplica la psicoanalisi;  lo strumento con cui lo psicoanalista partecipa alla politica è lo strumento del preliminare.

Il preliminare che ogni operatore può svolgere, a partire dal suo specifico punto di osservazione, mettendo i soggetti che a lui si rivolgono in condizioni di orientarsi responsabilmente nella rete delle "risposte" ai loro bisogni e contemporaneamente a tenere aperto l'orizzonte di senso proprio a ciascuna domanda, orizzonte ddi senso irriducibile e non oggettivabile in risposte standardizzate, è di per sé una delle risposte potenti che la psicoanalisi come metodo, come tipo di ascolto particolare presente nel sociale, è chiamata a dare.
Contemporaneamente, la psicoanalisi in estensione,  è il contributo che gli operatori formati all'ascolto psicoanalitico possono dare alla società civile attraverso la loro presenza professionale e costituisce il presupposto ineliminabile, il punto di partenza e contemporaneamente il punto di arrivo della pratica analitica come impegno politico, cioè  ciò  che permette di rendere visibile il potere trasformativo  del discorso psicoanalitico all'interno della società civile.
Per questo motivo, il discorso psicoanalitico, che si fonda sul particolare tipo di ascolto che include la logica dell'inconscio, non può che essere trasversalmente radicato nel sociale. Esso deve nutrirsi di discipline varie e di linguaggi differenti, che intersecano i diversi tipi di legame propri dell'umano, che sono il legame sociale, il legame amoroso, il legame educativo. Educare, psicoanalizzare, governare, sono i campi entro cui si esplica il teatro dello scambio inter-umano. E' all'interno di questi campi che si gioca la domanda di ascolto, cioè  il campo di ciò che è  negoziabile, in relazione a  ciò che resta invece fuori da ogni orizzonte di negoziabilità e di scambio.

L'analista, ovvero l'operatore, il soggetto che si sia formato all'ascolto analitico,  che si mette in ascolto, dunque, lo può fare in qualsiasi contesto e tendenzialmente a partire da qualsiasi "setting", purché vi sia una domanda "asimmetrica" e purché l'interlocutore gli supponga un determinato sapere.

Nessuno, anche se formato al sapere analitico, può operare a partire da un ascolto analitico in un bar con un amico, o con il proprio figlio o la propria moglie, ovvero in autobus, quando ascolta casualmente le chiacchiere degli avventori.
E' possibile che in ognuna di queste situazioni l'analista possa essere portato a fare associazioni, a riflettere sugli scambi uditi o effettuati, e che questo possa essere per lui materiale utile utilizzabile in altri contesti, anche professionali, o analitici.
Tuttavia non sono queste le situazioni in cui egli potrà fare un uso diretto del sapere inconscio, della sua particolare familiarità con il metodo proprio delle libere associazioni, che tuttavia costituisce una modalità di approccio alla realtà e all'esistenza che caratterizza in modo tipico e permanente l'analista.
A rigore, dunque, non esiste un unico setting, un setting definito per l'analista, dal momento che effetti analitici possono prodursi in contesti differenti, e tipicamente possono prodursi ogni volta che può essere messa in campo la particolare funzione dell'ascolto analitico, e cioè ogni volta che alla supposizione di sapere del soggetto che domanda, in una posizione asimmetrica, l'analista potrà rispondere con una sospensione di questo sapere, e con la messa in moto del meccanismo dell'ascolto analitico, quell'ascolto cioè che valorizza la domanda inconscia, che non è una domanda che chiede una risposta, in termini di sapere o di operatività, ma è una domanda "di essere", è una domanda d'amore, è una domanda che si apre alla possibilità da parte del soggetto, di ricollocarsi rispetto alla propria storia.

2) La psicanalisi è un ascolto che ha a che fare con l'inconscio.

Dunque possiamo adesso aggiungere l'elemento cruciale, l'elemento differenziale che distingue ogni tipo di ascolto dall'ascolto propriamente analitico, e questo differenziale è la parola "inconscio".

Cos'è l'inconscio?
Sono stati scritti fiumi di parole per definire l'inconscio, ma per il momento -  e ai fini del discorso che qui  interessa, e cioè per andare a definire il metodo psicoanalitico -  definiamo l'inconscio quello scarto, quella differenza, in ogni atto linguistico (cioè in ogni frase, in ogni preposizione che rivolgiamo a qualcuno nel tentativo di indirizzare una richiesta di aiuto, di supporto, di comprensione, ecc. ) fra ciò che abbiamo effettivamente detto, e ciò che avremmo voluto dire.

Dunque l'inconscio, in questa definizione, indica uno scarto, una deriva di senso, che può essere anche estremamente ampia, e spesso lo è. In ogni caso è uno scarto che c'è sempre, è sempre presente in ogni atto linguistico, ma che si mostra in modo evidentissimo proprio nelle situazioni asimmetriche, in cui c'è un soggetto che domanda e un soggetto che deve ascoltare e rispondere.

L'ascolto analitico è rivolto innanzi tutto, e prioritariamente, a questo scarto. Mentre l'ascolto professionale o mirato all'intervento efficace porta a ridurre questo scarto, a portare il soggetto a diventare efficace nella propria richiesta, e lo aiuta ad orientarsi verso gli interlocutori o i servizi giusti, per risolvere il problema presentato, l'ascolto analitico per lo più valorizza questo scarto, presenta al soggetto lo iato, l'equivoco che può essere ingenerato e lo restituisce come tale.
Questa operazione non è incompatibile, necessariamente, con l'operazione di "empowerment"  che ogni operatore può svolgere. Generalmente, è questione di momenti, di scansioni.
In un certo senso, anzi, un buon orientamento al servizio, una buona disposizione all’’utente, un porsi in modo proattivo per aiutarlo a spiegarsi meglio, a mettere meglio a fuoco i suoi bisogni,  può anche fare da presupposto all'apertura di una dimensione analitica e intransitiva del discorso, ma  può anche essere vero il contrario. In ogni caso, l’analista permetterà al soggetto di rendersi consapevole di questo scarto, lo metterà in condizioni di allenarsi a questa ambiguità presente nel suo stesso dire, lo renderà sensibile alla dimensione paradossale, contraddittoria, equivoca, che è presente nel suo discorso. Lo farà non in modo da far sentire il soggetto “braccato”, o preso in trappola. L’analista farà lo”slalom”fra le contraddizioni del soggetto, non per “coglierlo in castagna”, come farebbe un buon poliziotto o un avvocato in un contro-interrogatorio, bensì con l’obiettivo di sorprendere il soggetto, con l’obiettivo di metterlo in condizioni di riconoscere ed assumere, appropriarsi, di questo discorso “altro”, almeno nei termini di un allenamento all’ascolto del suo proprio inconscio, e della dimensione inconscia che alberga nel dialogo. L’esperienza che l’analista promuove è un’esperienza di apertura e di liberazione.

In ogni caso, l'ascolto che include l'inconscio, cioè l'ascolto che tiene presente e valorizza lo scarto fra ciò che è detto e ciò che si voleva dire, fra ciò che si è inteso e ciò che si poteva intendere, è ciò che differenzia l'ascolto analitico.
Nella fase preliminare di una consultazione, specialmente quando l'analista risponde a partire da ruoli sociali definiti e differenti, quando cioè non viene interpellato come analista (ma per esempio come psicoterapeuta, come operatore, come educatore o insegnante, ecc., come mediatore, ecc.), la messa in campo della funzione analitica va iscritta nel sociale e dovrebbe prodursi come effetto soggettivo.

Laddove l'analista è invece interpellato in quanto tale, e cioè laddove lo psicoanalista si dichiari tale e si metta in condizioni di intercettare domande dirette di analisi, questa operazione preliminare, che potremmo chiamare di "estrazione" della domanda d'analisi,   non perde la sua importanza.

3) L’analisi è una cura?
Chi si rivolge ad uno psicoanalista (come chi, con buone probabilità , ha selezionato questo sito e legge queste pagine) generalmente ha un'idea dell'inconscio, sa che l'analista ascolta un determinato discorso e lo riconduce ad altro, sa che l'analista è "una specie di medico", è qualcuno che a partire dal discorso, dalle parole, magari anche dall'analisi dei sogni, può curare il disagio, il malessere anche fisico, può aiutare a risolvere problemi di vita, che possono andare dall'insonnia all'alopecia, dal dolore per una separazione alla difficoltà nei rapporti sessuali.
Infatti oggi, almeno in Italia, l'ascolto analitico come professione, sganciata dalle professioni medico-sanitarie, sta sparendo. La legge "Ossicini" del 1989, se anche voleva riservare uno spazio alla psicoanalisi e alla pratica psicanalitica che non si sovrapponesse alle pratiche mediche o psicologiche, oggi in realtà sta sparendo.
Al di là di queste derive - che pure hanno la loro importanza e che dicono molto della difficoltà della psicoanalisi come tipo di ascolto e messa in logica dello "scarto" (cioè dell'inconscio) , di mantenere un posto nella società contemporanea - è senz'altro vero che l'ascolto psicoanalitico si situa nello spazio logico che è quello della "cura".
Lo psicoanalista che offre il proprio ascolto in modo diretto, nel proprio studio professionale, e che si forma in modo permanente attraverso il legame sociale e professionale delle associazioni cui appartiene, e di cui promuove l’evoluzione, la vitalità, la presenza nel sociale,   si occupa nella sua pratica privata precisamente di curare, di prendersi cura di un malessere lamentato dai soggetti, di un disagio riconosciuto come tale e considerato come meritevole di un qualche "trattamento".

Si tratta però di una cura che è cura del legame, come possono essere cura del legame il rapporto madre figlio, o il rapporto maestro allievo,  o anche il rapporto medico paziente in quelle fasi però, in quegli aspetti, in cui tutti questi rapporti vanno al di là ed eccedono gli specifici obiettivi di sostentamento, di insegnamento, o di terapia. Le cure materne, l'affetto per l'allievo e per il maestro, le cure del medico nei confronti del malato terminale, sconfinano in forme di cura del legame che vivono di vita propria, e non hanno a che vedere con effetti prevedibili o previsti.
In questo senso, la psicoanalisi si occupa precisamente di questi presupposti, di questi elementi di cornice, propri di ogni legame. La psicoanalisi si occupa pertanto, in una parola, di amore, del legame d'amore, del legame simbolico che pre-esiste ad ogni scambio umano, e in particolare delle sue disfunzioni ,dei suoi fallimenti, dei suoi intoppi.

4) Cosa cura la psicoanalisi e come?

Cerchiamo ora di addentrarci meglio nella descrizione di una relazione analitica in senso classico.
L’immagine che si ha generalmente dell’analista è l’immagine di una persona seduta su una poltrona, posta dietro ad un lettino, su cui è disteso il”paziente”, che alcuni chiamano “l’analizzante”. L’analizzante è posto in modo da non intercettare lo sguardo dell’analista, ed è dunque una persona distesa su un letto, che parla.
Di cosa parla? Straparla, potremmo dire. La regola analitica consiste nel dire ciò che passa per la mente, il più possibile senza censure, e dunque di dire le cose che normalmente non si direbbero.
Si vede già da queste brevissime pennellate che propongono la vulgata della pratica analitica, che il discorso che interessa la psicoanalisi è un discorso apparentemente senza obiettivo, senza destinatario. E’ precisamente il discorso che mai vorremmo fare in pubblico, il discorso che tende a mettere in valore il rumore di fondo.
Anche la postura dell’analizzante, l’essere sdraiato su un letto e parlare sottraendosi agli aspetti prossemica della conversazione, caratterizzano fortemente il tipo di ascolto specifico di questa singolare pratica discorsiva.
L’essere umano è steso su un letto, da solo, quando dorme (e a volte  sogna), ovvero quando è malato, cioè quando il suo corpo è invaso e pervaso da una sofferenza che rende impossibile o difficoltosa la stazione eretta, ovvero la condizione preliminare ad ogni atto. La posizione in cui il soggetto parlante è messo in analisi è dunque una posizione di strutturale impotenza, nella quale egli sceglie di mettersi, e dunque accetta di parlare a partire da questa impossibilità ad agire.
Il soggetto steso sul lettino sa che il suo discorso è un discorso sottratto all’operatività, è un discorso che interessa il corpo. Il corpo malato in genere non è  un corpo che parla. Parola e malattia, parola e impotenza sono considerati spesso in opposizione. La parola è associata al potere, alla possibilità all’atto, mentre la malattia è associata all’impotenza,alla necessità di sottrarsi. La stazione eretta è simbolo di potenza, l’essere distesi è simbolo di resa.
Il discorso analitico mette insieme invece parola e corpo disteso. Il discorso analitico è un discorso che riguarda il corpo; la parola che prende forma in analisi è una parola sottratta alla dimensione della comunicazione interpersonale, dal momento che chi parla non si rivolge direttamente a chi ascolta, non lo guarda negli occhi. Chi ascolta, inoltre, stabilisce il tempo della seduta, e quindi toglie la parola, oltre a punteggiare il discorso, ma non stabilisce altro al di fuori dell’orario dell’appuntamento e alla regola base, che è quella che il soggetto parla. Il soggetto parla liberamente, parla dando spazio a questa parola senza scopo apparente, e l’interlocuzione con cui l’analista punteggia questo parlare, e anche il modo in cui l’analista sospende questo discorso ad ogni seduta, non riguarda una conversazione fra due persone, L’analista apre e chiude, interpreta, punteggia, commenta, per rilanciare il discorso del soggetto.
In analisi dunque è fuori gioco lo sguardo (sguardo che ha però una sua funzione nel pre-seduta e nel post-seduta, dal momento che il preliminare, il discorso reale, vengono sempre tenuti annodati in analisi, come involucro, come presenza ineliminabile del discorso diurno), è fuori gioco il corpo eretto, è fuori gioco l’intersoggettività del dialogo.
Se non ci fosse la presenza fisica e l’intervento dell’analista, saremmo nella dimensione onirica, solitaria, propria delle fantasticherie del dormiveglia.
La presenza di un ascolto introduce la dimensione simbolica, dello scambio amoroso, ma poiché l’analista non è un partner del soggetto, la dimensione simbolica propria dell’amore, dell’eros, appare in analisi spogliata della dimensione reale, corporea, propria della sessualità o dell’aggressività.
L’analista è presente e ascolta un discorso che viene da un corpo disteso, che tipicamente è il corpo della medicina, dunque è un corpo abitato dal reale;  tuttavia  è un corpo che l’analista  non tocca. Il rapporto dell’analista con la dimensione corporea, reale, del paziente, è un altro elemento fondamentale che caratterizza la pratica analitica, distinguendola da altre pratiche di ascolto o da altre pratiche di cura. L’analista è soggetto alla regola dell’astinenza, così come il paziente o analizzante è soggetto alla regola fondamentale delle associazioni libere.
Astinenza -  precisamente – è astinenza dall’interagire direttamente con la dimensione corporea interattiva, erotica o aggressiva con il paziente.
Questa dimensione, che si presenta comunque in analisi, è appunto ciò che diviene oggetto di indagine.
Il rapporto analitico è in un certo senso la riproposizione di  un discorso senza soggetto, ovvero dove il soggetto è sospeso, si sposta, si produce attraverso l’errare del discorso e permette di toccare nodi irrisolti, conflitti, identificazioni, e di liberarsene.
Questo è possibile man mano che il soggetto impara a fidarsi, ad affidarsi a questa particolare modalità di parola. Egli si sentirà sicuro nella misura in cui avrà consapevolezza che l’analista è saldamente in grado di tenere la barra del timone, cioè è in grado di condurre la cura, rispettando la sua posizione astinente. La posizione astinente consiste nel favorire l’innamoramento dell’inconscio da parte dell’analizzante, quindi nel permettere che si strutturi il transfert, ma nel non approfittarne neanche per accelerare la cura o per raggiungere qualche risultato, o qualche obiettivo che possa essere anche pensato con le migliori intenzioni (per esempio, per aiutare il soggetto- poniamo -  ad abbandonare comportamenti lesivi per la sua salute).
Il desiderio dell’analista è precisamente il desiderio di rilanciare questo discorso libero, il discorso del soggetto. Questo discorso condurrà il soggetto stesso a tracciare il suo percorso e a individuare la sua via al suo proprio desiderio. Il desiderio dell’analista quindi non è un desiderio di cura, non è un amore filantropico  rivolto al soggetto. Questo non significa, naturalmente, che l’analista non possa essere felice del benessere raggiunto da un analizzante, o non possa affezionarsi ad un paziente, così come non significa che in momenti particolarmente critici egli non possa aprire ad altri interventi, e non possa quindi chiedere al suo analizzante di valutare la possibilità di un aiuto farmacologico, di un inserimento in ospedale, ecc.
Tuttavia il lavoro analitico in quanto tale non ha a che vedere con la ricerca del benessere, non riguarda la cura o la modifica del funzionamento sociale, ma riguarda l’accesso al desiderio inconscio dell’analizzante, riguarda la possibilità di liberarsi delle identificazioni e, in una parola, la creazione di una diversa alleanza, di un diverso annodamento fra la coscienza e l’inconscio.
Se nel corso di un’analisi qualcosa a livello del reale puro (perdita di peso incompatibile con la vita, per esempio) fa ostacolo alla prosecuzione dell’analisi, l’analista può e anzi in certi casi deve aprirsi ad un altro discorso. Che può essere il discorso medico, ma anche il discorso della legge.
L’analista sa che il dialogo asimmetrico, anche quanto ha optato per la componente intransitiva della domanda inconscia, non perde la sua dimensione di duplicità, il suo annodamento con la dimensione dialogica e dunque in ogni momento può essere necessario che l’etica analitica si dispieghi nella sua dimensione di riattivazione del “discorso della realtà”, che rappresenta la fonte e  il limite entro cui l’esperienza analitica si inscrive.  

5) Gli strumenti dell’analista: analisi personale e analisi di controllo
Gli strumenti di cui ci si serve in analisi sono dunque essenzialmente la scansione propria della seduta (quindi il modo in cui si gestisce l’inizio di una seduta, la seduta stessa e il suo termine), il trattamento del discorso del soggetto (e dei suoi silenzi), l’interpretazione, la gestione del transfert.
Tutti questi elementi, la loro combinazione e il loro utilizzo,  vengono appresi dall’analista nel corso del suo training individuale e gruppale e costituiscono dunque il suo bagaglio professionale. La formazione dell’analista – che passa principalmente attraverso l’esperienza diretta dell’analisi, e dunque l’esperienza del proprio funzionamento inconscio e il lavoro sul proprio desiderio (in particolare il desiderio di assumere la posizione analitica) – si esplica attraverso l’incontro personale con la domanda analitica,  l’esperienza diretta della trasformazione della domanda di aiuto a fronte di un malessere in una domanda intransitiva di sapere.
Oltre all’esperienza dell’analisi personale, che è il cuore della formazione di un analista, è fondamentale la pratica dell’analisi di controllo, detta anche “supervisione”.
Cos’è la pratica di controllo?
L’analista che comincia a ricevere analizzanti chiede ad un collega il “controllo della sua posizione”, cioè chiede di poter raccontare le scansioni delle cure che sta portando avanti, facendosi aiutare a tenere bassi gli effetti immaginari, cioè gli effetti di identificazione con i suoi  pazienti.
La posizione analitica, la posizione di desiderio intransitivo, che appunto non è desiderio del bene del soggetto, deve fare da contrappunto al discorso intransitivo dell’analista. Ma perché questa corrispondenza, questa struttura funzioni, l’analista deve tenere basso il proprio investimento  personale, deve riuscire a far posto al discorso del soggetto, deve permettere al discorso del soggetto di manifestarsi per quello che è. Come il sale non è un cibo in sé, non serve in quanto tale, ma in piccole quantità esalta il sapore degli alimenti, come la luce non è un oggetto in sé, ma permette di svelare la forma e la posizione degli oggetti, così l’analista deve tenere questa posizione.
Per fare questo, l’analista deve essere capace di interrogarsi su ciò che gli sfugge, in una cura, su ciò che lo stupisce e lo interroga, su ciò che gli accade e che egli non è in grado di comprendere. “So che avrei dovuto chiudere la seduta, ma è stato più forte di me”. Quando qualcosa “è più forte di me”, e tende ripetersi e a tornare sempre allo stesso posto,  lì sono vicino ad una dimensione enigmatica, inconscia, che l’analisi di controllo può aiutarmi a distinguere, a comprendere, a valutare. L’analisi di controllo permette all’analista di lavorare incessantemente la propria soggettività e di tenere quindi allenato e “pulito” il proprio contenitore, la propria cassa di risonanza, evitando che effetti di transfert immaginario (o di controtransfert, come alcuni li chiamano) possano ostacolare la produzione del materiale inconscio e possano dunque interferire troppo con la cura.
E’ importante però che non si pensi che l’analisi di controllo sia una sorta di “sterilizzazione” dell’inconscio. L’analista opera anche e soprattutto a partire dai propri limiti, da ciò che eccede il suo calcolo e le sue previsioni. Tuttavia non è in una dilettantistica posizione “spontanea” che risiede il saper fare dell’analista, bensì in una capacità incessante e sempre rinnovata di interrogare il proprio limite, nella relazione con ciascun soggetto di cui si prende cura.
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