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Ritorno sul tema della Formazione (il caso della psicanalisi)

PIETRO ANDUJAR – GIOVANNI SIAS

 

RITORNO SUL TEMA DELLA FORMAZIONE

(IL CASO DELLA PSICANALISI)

 

Con l’avvento delle psicoterapie e della loro istituzionalizzazione si è verificato un costante impoverimento della formazione degli psicanalisti, fino a mettere in pericolo, nel nostro tempo, l’esistenza stessa della psicanalisi. Questo processo ha avuto il suo avvio dopo la Seconda guerra mondiale, ed è andato via via consolidandosi secondo esigenze di mercato e secondo le legislazioni nazionali. Il caso italiano negli ultimi venticinque anni rappresenta un aspetto particolarmente emblematico e rappresentativo di questa deriva, e deve servire di riflessione a tutto il movimento psicanalitico.

Nella situazione attuale, in Italia, molte associazioni psicanalitiche hanno istituito scuole di psicoterapia., il che non è di per sé criticabile. Invece, quello che ci trova in forte disaccordo è che esse abbiano totalmente cessato di impegnarsi in una formazione psicanalitica secondo i canoni storici: l’analisi personale, l’analisi di controllo o supervisione, lo studio e la formazione permanente. Di solito le scuole di psicoterapia si limitano alla formazione scolastica degli psicoterapeuti, alimentando la confusione fra psicanalisi e psicoterapia senza offrire una specifica formazione psicanalitica. Inoltre gli studenti di tali scuole, una volta terminato il loro impegno curricolare, abbandonano gli studi e la formazione, limitandosi ai corsi di aggiornamento obbligatori previsti dalla legge italiana. Questo vuol dire che negli anni di insegnamento curricolare nessuno di loro ha maturato alcunché che possa essere individuato, anche lontanamente, come formazione psicanalitica. Capita che parlino con termini e utilizzino concetti psicanalitici, ma sono solo parole vuote che non rispondono a quanto incontrato in un’esperienza psicanalitica personale. Spesso gli psicoterapeuti così istruiti utilizzano con arroganza termini di cui sembrano essere padroni, veicolandone di fatto solo una divulgazione ignorante.

Anche in quelle associazione psicanalitiche dove, in modo forse più rigoroso, si è evitato di costituire scuole di psicoterapia, la formazione degli analisti non è più nei loro progetti. Sono timorose, non sono più in grado di proporre agli analizzanti una via della formazione che sia estranea e disinteressata ai principi professionistici o scolastici, oppure la formazione assume connotati religiosi: nella chiusura fra le mura dei circoli, vengono perpetuate modalità linguistiche che offrono solo chiusura alla ricerca e all’elaborazione del percorso intellettuale degli analizzanti. Ogni discepolo si sente depositario della parola del Maestro distribuita con modalità democratica: a tutti uguale e alla quale tutti aderiscono, si adeguano, operano un mutuo riconoscimento.

Rari sono ancora quegli psicanalisti, associati o no, che propongono l’analisi come formazione nel senso forte del termine, dove un’analizzante si forma da sé, benché non da solo. Se qui usiamo la forma attiva del verbo, secondo l’indicazione di Jacques Lacan, è per sottolineare che un soggetto all’analisi (dunque non nella posizione di “analizzato” né di “analizzando”) è soggetto alla propria parola e al percorso che questa impone nella singolarità del discorso. Questo vuol dire che ciascuno resta implicato dal proprio discorso ed è esattamente questo che produce formazione: l’elaborazione del proprio discorso lungo l’articolazione della domanda. Tutto ciò non può avvenire semplicemente attraverso l’acquisizione di saperi già costituiti, poiché la funzione psicanalitica non richiede “insegnanti” ma si snoda da sé nell’elaborazione del linguaggio, che è personale e non sociale, e non vuole l’ausilio di nessun sacerdote della parola psicanalitica.

 

C’è l’analisi personale, in primo luogo, l’analisi di controllo o supervisione, e infine la ricerca sui testi (psicanalitici e non, occorre sottolinearlo) e la discussione fra “ricercatori”, come momento di scambio collettivo e ripresa continua di una propria personale elaborazione. Sono tempi e modalità che un analista deve introdurre nelle analisi, ma in cui si deve “astenere” dal portare la propria interpretazione. S’interrompe così quella funzione “magistrale” che dal Dopoguerra ha governato l’insegnamento in psicanalisi per introdurne una che, in opposizione, possiamo chiamare “sapienziale”. In tal modo lo psicanalista esiste realmente nella sua nescienza, così come non teme di sottoporre la propria voce alla sua afanisi e la propria parola alla sua alienazione, dove introduce esclusivamente l’ascolto. Lasciare la propria memoria e il proprio desiderio, secondo la formula di Bion, ovvero “dimenticare” ciò che si sa e “dimenticare” ciò che si vuole. Detto in altri termini l’analista non usa la propria parola per indirizzare il pensiero dell’allievo, né tantomeno per fornigli i criteri di decontestualizzazione e di interpretazione che sono le modalità proprie di insegnamento della religione, ma lascia che l’allievo continui ad articolare il proprio linguaggio così come avviene nell’analisi personale. Non esiste altra analisi di quella personale che è già didattica, secondo un principio fortemente sottolineato da Ferenczi, Bion e Lacan.

Ricordiamo che nella tradizione psicanalitica i corsi e i seminari di formazione hanno anche il senso di consentire all’allievo, attraverso lo studio e una personale riflessione sulla teoria psicanalitica, di inserirsi nel flusso della storia della psicanalisi diventando un membro di questa storia e continuandone la tradizione. Quello che succede di fatto nelle scuole di psicoterapia psicanalitica, il cui insegnamento è conformato sul modello universitario e i programmi sono di Stato, non solo introduce una falsa posizione dello psicanalista, ma ha anche prodotto enormi distorsioni nella comprensione della teoria psicanalitica e della sua pratica.

Oggi, troppo spesso, si continua a credere che gli studi in psicoterapia possano sostituire la formazione degli psicanalisti.

Già Anna Freud, nel 1966, poneva la necessità di indagine sulla storia del movimento psicanalitico, anziché limitare il futuro degli allievi delle scuole allo studio dei programmi e all’acquisizione dei diplomi. Nel 1968 sempre Anna Freud specificò che “specialmente le psicoterapie non possono far altro che applicare al singolo paziente ciò che è già conosciuto circa il suo disturbo particolare, per come è ancora oggi limitata tale conoscenza. Soltanto il metodo psicanalitico offre sia al paziente sia al terapeuta l’opportunità di esplorare ulteriormente, di aumentare le conoscenze esistenti, e di accrescere così le possibilità dell’individuo di trovare la strada verso la propria guarigione”.

Vorremmo sottolinearla, tale affermazione, che appartiene a tutta la storia del movimento psicanalitico: non sono il terapeuta e la sua azione che guariscono, ma è l’analizzante che con l’analisi trova la strada della propria guarigione. E sottolineiamo qui, di nuovo, l’uso attivo del verbo analizzare.

La formazione si compie nel transfert e con la ricerca che consente allo psicanalista di radicarsi nello spirito del ricercatore. Questa qualità dello psicanalista lo immette nell’extraterritorialità rispetto ai saperi convenzionali (come appunto sono la psicologia e la psicoterapia). Se è territorio comune il sapere acquisito, solo la possibilità di trovare nuovi percorsi in territori inesplorati introduce la ricerca e la conoscenza. Secondo Deleuze e Guattari la capacità extraterritoriale – cioè di esplorazione del territorio ignoto – è specifica di alcuni individui che ben conoscono i parametri fondamentali del proprio ambito e che sono in grado di allontanarsene in modo apparentemente inspiegabile per poi tornare al territorio stesso, allargandone percorsi e confini. Da questo punto di vista si può sottolineare che l’extraterritorialità è un motivo dialettico ineliminabile per l’evoluzione della specie umana e della civiltà. E per quanto riguarda la psicanalisi il sintomo è sempre ed esclusivamente territorio ignoto. Lo psicanalista non può che essere un individuo extraterritoriale, ab origine. Questa è la sua funzione, posizione ed essenza.

 

Solo in questa accezione di ricercatore intendiamo la formazione permanente e non nei famosi (e fumosi) “corsi di aggiornamento” di fattura sindacale.

L’attenzione ai testi pubblicati dagli psicanalisti e i dibattiti che nascono dai convegni sono parte accessoria dell’arricchimento culturale, ma rimane indispensabile la formazione individuale e specifica dello psicanalista secondo le modalità accennate, senza la quale anche i dibattiti scadono in un incontro ascientifico che impedisce alla psicanalisi di avanzare nel suo percorso di conoscenza, e dove i convegni non sono altro che incontri di matrice religiosa dove si celebra il significante che riunisce.

 

Gennaio 2013

 

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